Oggi si discute di comunione legale tra i coniugi e, nello specifico, di quali beni ne facciano parte.
Intanto faccio una premessa che forse è scontata ma forse no, data la grande quantità di casi giudiziari vertenti sempre sulle stesse questioni di liti fra moglie e marito che davvero, al giorno d'oggi con le possibilità infinite di previsioni di accordi, negozi, contratti, sono per così dire "dèmodè".
La comunione legale tra i coniugi è il regime ordinario. Quindi se non lo si esclude espressamente ce lo si ritrova. O ci piaccia oppure no.
Aggiungo che la scelta della separazione dei beni va fatta espressamente anche dinnanzi al sacerdote, nel caso di rito concordatario, poiché è lui che gestisce la pratica sulla doppia efficacia, religiosa e civile.
Quindi, per non subire l'"effetto sorpresa", meglio andare preparati, convinti e d'accordo.
Questo vale per tutti coloro che ancora possono scegliere il regime coniugale riguardo ai beni, ergo, devono ancora siglare il sacro vincolo.
Chi invece non ha esplicitamente optato per la separazione, ai tempi, si ritrova in regime di comunione legale.
Nella vita tutto è una questione di scelta. L'importante è essere consapevoli delle conseguenze di ogni singola scelta.
Comunque la separazione dei beni ha tante conseguenze positive, e non per forza significa che fra i coniugi non ci sia amore o fiducia. Anzi! In termini legali è vantaggiosa la scelta della separazione sopratutto per chi ha un impresa oppure è un libero professionista. Faccio un solo esempio? Acquisto di una casa. Il coniuge che ha un'impresa probabilmente preferisce intestarla all'altro onde evitare future aggressioni da parte di creditori o pseudo-tali, lasciando indenni anche i diritti patrimoniali dei figli, di conseguenza. Questo per dire che il pregiudizio: separazione dei beni = poca fiducia, non sempre corrisponde al vero. Spesso è prudenza e lungimiranza, aggiungerei, sopratutto in uno stato strozzino, come il nostro, con gli imprenditori e i liberi professionisti.
Ciò posto, l'art 177 c.c. sancisce che costituiscono oggetto della comunione “gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali".
Quindi tutti gli acquisti fatti dal giorno successivo al matrimonio cadono in comunione e quindi sono in comproprietà al 50% fra i coniugi a prescindere dal fatto che l'acquisto lo si sia deciso ed eseguito insieme oppure no.
Chiamata infatti a giudicare una sentenza della Corte di Appello di Ancona, ha sancito quanto appresso esplicato.
La Corte territoriale, applicando l’interpretazione dominante dell’art. 177 c.c., affermava che in caso di preliminare stipulato da uno solo dei coniugi l’altro non può vantare alcun diritto successivamente allo scioglimento del matrimonio, non essendo neppure legittimato ad agire ex. art. 2932 c.c.
Il coniuge ricorrente sosteneva che la norma in questione doveva interpretarsi nel senso di includere nella previsione di cui all'art 177 c.c. anche i diritti di credito, quindi quelli scaturenti dal preliminare.
Osservava anche che, se la ragione della comunione legale sta nell’esigenza di far beneficiare i coniugi di tutti gli incrementi economici acquisiti al loro patrimonio (sia pure con l’eccezione dei beni personali), non si comprenderebbe il motivo per cui l’acquisto di un diritto di credito debba essersene escluso, trattandosi anche in tal caso di un incremento patrimoniale.
Quanto esposto dalla parte ricorrente è stato ritenuto infondato dalla Cassazione.
Infatti secondo il costante orientamento della Cassazione, non cade in comunione legale l’immobile, promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione legale, che venga coattivamente trasferito ex art. 2932 cod. civ.
Apro una parentesi, in caso di preliminare di vendita avente ad oggetto un immobile, se il promittente venditore è inadempiente, la proprietà dello stesso bene viene trasferita al promissario acquirente, con sentenza e questo grazie ad una norma specifica appunto il 2932 c.c.
Caso ha voluto che nello specifico la sentenza è divenuta definitiva, solo dopo che tra il promossario acquirente (ormai proprietario) ed il proprio coniuge era stata pronunciata la separazione.
Ecco spiegata la "questio".
Quindi i Giudici hanno precisato che la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l’effettivo e immediato trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima. Secondo questa tesi restano esclusi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, come ad esempio quello che scaturisce dal preliminare.
La motivazione dell'orientamento dei giudici è che i diritti di credito, per la loro stessa natura relativa e personale, anche se strumentali all’acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione.
I Giudici toccano anche un altro aspetto interessante perché ritengono che la tesi del ricorrente non può trovare applicazione in quanto in contrasto con la ratio della comunione legale fra i coniugi.
La comunione nasce, invero, dall'intento di proteggere la posizione dei coniugi all'interno di una famiglia purché essi siano in costanza di rapporto matrimoniale. Viceversa in un caso come questo si verrebbe a creare un arricchimento di un coniuge a discapito dell'altro e nonostante ci sia un rapporto in crisi.
La questione esposta sopra dimostra come molte delle liti che sorgono tra gli ex coniugi potrebbero essere evitate con una leggera attenzione e con una buona consulenza professionale, ciò da un lato consente di evitare lunghe e tedianti battaglie giudiziarie nocive non solo per i rapporti tra i coniugi (che tanto già risultano compromessi a priori) ma anche per i figli i quali, molto spesso, sono costretti a subire più o meno indirettamente lo stress e le vessazioni che una causa comporta.
Nella maggior parte dei casi, infatti, i coniugi sanno o dovrebbero sapere quando il loro rapporto è in crisi ed è proprio quello il momento in cui avvalersi di consulenze e pareri.
Se vuoi scaricare la sentenza CLICCA QUI
I Giudici toccano anche un altro aspetto interessante perché ritengono che la tesi del ricorrente non può trovare applicazione in quanto in contrasto con la ratio della comunione legale fra i coniugi.
La comunione nasce, invero, dall'intento di proteggere la posizione dei coniugi all'interno di una famiglia purché essi siano in costanza di rapporto matrimoniale. Viceversa in un caso come questo si verrebbe a creare un arricchimento di un coniuge a discapito dell'altro e nonostante ci sia un rapporto in crisi.
La questione esposta sopra dimostra come molte delle liti che sorgono tra gli ex coniugi potrebbero essere evitate con una leggera attenzione e con una buona consulenza professionale, ciò da un lato consente di evitare lunghe e tedianti battaglie giudiziarie nocive non solo per i rapporti tra i coniugi (che tanto già risultano compromessi a priori) ma anche per i figli i quali, molto spesso, sono costretti a subire più o meno indirettamente lo stress e le vessazioni che una causa comporta.
Nella maggior parte dei casi, infatti, i coniugi sanno o dovrebbero sapere quando il loro rapporto è in crisi ed è proprio quello il momento in cui avvalersi di consulenze e pareri.
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